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Le anomalie del mercato del lavoro italiano

A Luglio il numero di occupati ha superato i 24 milioni e il tasso di occupazione, l’unico valore che si dovrà davvero considerare negli anni a venire visto la forte e drastica transizione demografica in corso, ha raggiunto il 62,3% in media e il 53,6% fra le donne. Siamo ancora ben lontani dall’obiettivo che era stato preso con la Strategia di Lisbona nel 2000, di portare l’occupazione al 70%.
Aumentare la forza lavoro è una condizione necessaria per far crescere l’economia e ridurre la povertà. Non avere un lavoro resta, purtroppo, la causa principale di povertà in Italia, come altrove. Ma ancora oggi, avere un lavoro non è sufficiente per evitare di cadere in povertà. Nel 2023, ad esempio, il 9,9% degli occupati era povero, una cifra in calo rispetto al picco del 12,3% toccato nel 2017 e nel 2018, ma pur sempre più elevata della media europea.
E questo non è un problema solo per i lavoratori di oggi, ma anche per i pensionati di domani. Un lavoratore povero, infatti, sarà con buona probabilità un pensionato povero, ammesso che riesca a cumulare il minimo contributivo necessario per una pensione. Le cause di queste fenomeno che persiste nel tempo sono legate, principalmente, alla scarsa intensità di lavoro. E cioè lavorare poche ore a settimane o al giorno, rispetto al numero di familiari a carico.
In Italia, oltretutto, il calo dei salari reali non solo è stato tra i più elevati, ma è anche quello dove il recupero è più lento. Scontiamo, soprattutto, il forte ritardo dei rinnovi contrattuali, un fenomeno che va avanti da almeno un decennio, ma che è diventato insostenibile con il picco inflazionistico. C’è, infine, la mancanza di un salario minimo che altrove ha protetto in maniera decisamente reattiva i lavoratori a basso reddito.