Un’artista che ha saputo trasporre, disegnandola, l’anima di un film in un manifesto. La Mostra documenta 170 film e lo fa partendo dal prodotto finito, ovvero dai manifesti a due e quattro fogli, destinati alle Sale cinematografiche o all’affissione

Ultimo protagonista di un’arte ormai scomparsa, Renato Casaro assurge a simbolo di quella Scuola italiana di cartellonisti del cinema, dove perizia tecnica, creatività, genio e istinto erano le garanzie e il valore aggiunto per il successo di innumerevoli film nazionali ed internazionali. Da Treviso a Roma a Hollywood, attraversando con la sua arte la seconda metà del secolo scorso, Casaro ci lascia in eredità una mirabile galleria di manifesti, testimonianza fondamentale per la storia del cinema.

A curare la mostra sono Roberto Festi ed Eugenio Manzato, con la collaborazione di Maurizio Baroni, tre specialisti del Settore, che hanno analizzato l’enorme archivio di Casaro (più di mille i manifesti e le locandine da lui realizzate), selezionando testimonianze di un percorso artistico durato 50 anni. La carriera dell’artista trevigiano  inizia quando, ancora ragazzo, crea le grandi sagome, pezzi unici dipinti a mano, che venivano collocate all’ingresso del Cinema Teatro Garibaldi e del Cinema Esperia di Treviso. A 19 anni, nel 1954, parte per Roma dove trova lavoro e vi rimane per circa un anno e mezzo, imparando le tecniche e i trucchi del mestiere.

Artigiano di grande genio ed intuito comunicativo, sin dagli esordi misura la sua arte con quanto Cinecittà e il cinema internazionale andavano proponendo. Via via il suo stile conquista grandi registi e Hollywood. Suoi gli indimenticabili manifesti di capolavori cinematografici quali I magnifici sette, C’era una volta in America, Amadeus, Il nome della rosa, Il tè nel deserto e L’ultimo imperatore.