3 mesi

La madre Lyudmila eil padre Anatolij non hanno smesso di stringersi la mano

Lei infagottata in un cappotto e scialle neri, lui con lo sguardo perso nella penombra rischiarata soltanto dai ceri accesi. Si aggrappano l’un l’altro. È questa la scena straziante di un Paese che non vuole la guerra e che non perde l’occasione per ricordarlo ad un dittatore che porta sulle sue spalle il peso morale dell’uccisione di Aleksej Navalny.
In realtà, sino all’ultimo le autorità hanno provato a imporre un funerale privato. Hanno ritardato la consegna del corpo, intimato ultimatum e minacciato le pompe funebri tanto che, nonostante tutti gli sforzi, non si è trovata una sala per la camera ardente e si faticava persino a trovare un carro funebre.
Ai tanti moscoviti rimasti fuori, oltre le transenne, in una coda lunga alcuni chilometri, non resta che applaudire e scandire il nome «Navalny» quando, infine, il feretro viene portato fuori e caricato sul carro funebre. Qualcuno prova ad inseguirlo e gli lancia contro il mazzo di fiori che aveva portato. L’asfalto diventa un tappeto di petali, mentre in cielo si levano dei palloncini grigi.
«Era il nemico numero uno di Putin. E ora lo temono anche da morto – dice un cittadino dietro al feretro -. Aleksej regalava speranza. Purtroppo, questo non piaceva a tutti. Non tutto è perso. Continueremo a lottare e a seguire i suoi ideali». Hanno tutti paura, anche se cercano di farsi coraggio l’un l’altro. La Russia che resite, in fondo, è questa e non vuoloe abbassare la guardia.