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Goodbye London. La fine di una storia con radici antichissime

È un lungo addio, quello che gli italiani, e con loro altri 26 popoli dell’Unione Europea, hanno dato al Regno Unito. La prima mazzata è stata la Brexit, entrata in vigore il 1 Gennaio 2021. Niente più libertà di venire a vivere liberamente in Inghilterra, Galles, Scozia, Irlanda del Nord, per cercare un lavoretto ed imparare l’inglese.
Quindi è arrivata la norma secondo la quale, per ottenere un visto di lavoro per un mestier qualificato, occorreva guadagnare come minimo 26 mila sterline l’anno. Ora, da questo mese di Aprile, la soglia del salario minimo necessario per un visto è aumentata a 38.700 sterline annue, pari a più di 45 mila euro. E per mestieri qualificati si intende, naturalmente, anche camerieri, cuochi, lavapiatti e commessi. Tutti Settori in cui è difficile, se non impossibile, ricevere uno stipendio così alto.
Dal 1973, con l’ingresso della Gran Bretagna nel mercato comune europeo, i nostri connazionali cominciano a distribuirsi dappertutto. Con il boom della Cool Britannia, etichetta degli anni di Tony Blair, Londra si è riempita di medici, avvocati, architetti e finanzieri italiani. E poiché chi ci è arrivato entro il 31 Dicembre 2020 ha diritto, a dispetto della Brexit, di restarci a tempo indeterminato con eguali diritti dei britannici.
A Londra, dunque, siamo ancora più di 400 mila italiani, come testimoniano le iscrizioni all’Aire (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero) del nostro Consolato. Fossimo una città a parte, saremmo la settima d’Italia per numero di abitanti, più grande di Bologna. La Brexit, pertanto, si è rivelata una decisione autolesionista dettata dal populismo, ma è autolesionismo populista anche la mossa del premier Rishi Sunak di aumentare a 39 mila sterline l’anno, il salario minimo di residenza.