Il nuovo saggio di Michael Freeden uno dei maggiori studiosi delle ideologie

All’inizio degli anni ‘60 del secolo scorso, il sociologo americano Daniel Bell pubblicò un libro dal titolo La fine dell’ideologia, un testo destinato a conoscere un’enorme fortuna e ad aprire un intenso dibattito. La sua convinzione era, infatti, che il rapido sviluppo economico delle società occidentali e la diffusione del benessere, dovessero ben presto far tramontare i grandi sistemi ideologici.
Alcuni anni dopo, però, la previsione di Bell si scontrò con una clamorosa smentita, perché tutte le società occidentali furono investite da conflitti in cui proprio le ‘vecchie’ ideologie ottocentesche giocarono un ruolo tutt’altro che secondario. Ciò nondimeno, la profezia di Bell è in seguito entrata a far parte del senso comune, tanto che è diventato quasi scontato riconoscere nel 1989 il momento che chiude simbolicamente il «secolo breve» delle ideologie.
A distanza di 60 anni la previsione di Bell, tuttavia, sembrerebbe così confermata e la Stagione storica segnata dalla centralità delle ideologie, parrebbe davvero essersi definitivamente conclusa. Forse le cose sono però più complicate. Non solo perché la tesi della «fine delle ideologie» è, essa stessa, una nuova ideologia. Ma anche perché la nostra concezione di esse rimane in gran parte ancorata al paradigma del ‘900.
Un contributo fondamentale giunge adesso dal libro di Michael Freeden, dal titolo Liberalismo, a cura di Rubbettino editore, soprattutto perché l’autore è il padre di un metodo originale di indagine, che ha notevolmente rivitalizzato questo campo di studi, anche se in Italia ancora poco praticato. Grazie al suo impianto analitico Freeden esamina l’ideologia liberale come più composita di altre, dal momento che, come scrive lo studioso britannico, «non esiste una cosa unica ed univoca chiamata liberalismo».