Ma chi ha mai detto che un intellettuale non può amare il gioco del calcio

In una celebre intervista realizzata da Enzo Biagi su La Stampa, alla domanda cosa avrebbe voluto diventare se non avesse fatto il regista e lo scrittore, Pasolini risponde «un bravo calciatore». Il calcio è «uno dei grandi piaceri, dopo la letteratura e l’eros» aggiunse, tra l’altro, nel corso della chiacchierata.
Un piacere che, l’uomo di cultura, inizia a coltivare fin da ragazzino, rincorrendo il pallone durante gli anni del Liceo ai Prati di Caprara, dove il neonato Bologna Football Club aveva stabilito il proprio campo da gioco dal 1909 alla fine del 1910.
E alla squadra della sua città natale, resterà legato per tutta la vita, da tifoso appassionato: «Il tifo è una malattia giovanile che dura tutta la vita» scrive, infatti, nel 1973 su Paese Sera. «Io abitavo a Bologna. Soffrivo allora per questa squadra del cuore, soffro atrocemente anche adesso, sempre» ammetterà in seguito con il candore di un bambino.
Il Bologna che aveva conosciuto era quello degli anni ’30 «lo squadrone che tremare il mondo fa», quello di Dall’Ara, di Schiavio e di Biavati, verso il quale nutriva una vera e propria venerazione: «Non ho mai visto niente di più bello degli scambi tra Biavati e Sansone. Che Domeniche allo Stadio Comunale!» scriverà, infine, sul settimanale Tempo alla fine degli anni ’60.

*L’immagine in evidenza è a cura di Lorenzo Burlando